Mauritania l’ultimo spettacolo

Andrea Stroppiana | 1 Dicembre 2015

L’ultimo pomeriggio in Mauritania, dopo l’ultimo incontro di lavoro, decido di andare a vedere l’Oceano. Prendo un taxi e chiedo al ragazzetto alla guida di portarmi al porto di pesca. Mi guarda interrogativo e mi chiede: “ma è sicuro di voler andare al porto di pesca”? Certo rispondo, perché? Risposta: “Perché non è un posto per lei”.

Devo dire che ero con la camicetta bellina e i pantaloni stirati delle grandi occasioni, avendo appena incontrato il direttore dell’Ufficio FAO per il debreafing.

Gli chiedo se ci sono pericoli o rischi e mi risponde che no, ma che i bianchi non vanno allo scarico del pesce.

Se avevo un dubbio se andare o no verso quella destinazione questo scambio di informazioni me lo ha fugato completamente. Andiamo senz’altro al “port de pêche”.

Dopo una buona mezz’ora ci troviamo alla estrema periferia di Nouakchott e finalmente arriviamo al porto. Il mare dalla macchina non si vede… si vede invece una quantità impressionante di gente che si muove come le formiche di un formicaio all’entrata di un passaggio che verosimilmente doveva condurre al porto vero e proprio sul mare. Il taxi deve fermarsi e lasciarmi lì, anche perché con tutta quella gente continuare ad avanzare sarebbe stato impossibile. A fatica scansando carretti trainati da asini e persone di ogni tipo mi avvicino alla catena che sancisce l’inizio del porto. La scavalco e avanzo tra la folla variopinta e vestita solo di stracci.

E lì comincia la puzza, quella vera.

In modo incipiente ti avvolge. Aumentando esponenzialmente ad ogni passo verso il mare fino a diventare qualcosa di materiale e tangibile. Un po’ così mi sono sempre immaginato i buchi neri, qualcosa di estremamente denso che tutto richiama a sé e che tutto ingloba senza lasciare scampo…

Dopo circa 500 metri sono nei pressi del mare. Li mi aspetta la spiaggia, ma il confine tra spiaggia e mare non si vede. Migliaia di persone si accalcano e si muovono febbrilmente sul bagnasciuga. Al largo, appare una distesa infinita di barche e barchette, molte ormeggiate, molte in fase di approdo. Il porto non c’è. Non ci sono banchine, frangiflutti, nulla di nulla se non la spiaggia. Una spiaggia bianchissima letteralmente coperta di mucchi di pesce e di gente per tutta la lunghezza visibile. Intanto la puzza si è trasformata in qualcosa di concreto. Si può vedere, toccare, impacchettare, fotografare, e vendere. Qui è la vera unica ed incontrastata padrona, la protagonista numero 1. Una puzza come non l’avevo mai sentita prima, pervasiva.

La situazione è commuovente. Ad ogni barca che si avvicina alla riva decine di persone partono a piedi verso il mare, con le onde alle ascelle, con cassette vuote in bilico sulla testa per prelevare il pesce prima degli altri, prima che la barca tocchi terra e venga scaricata, altri invece si buttano in acqua dalle barche stesse con ceste enormi sulla testa stracolme di pesce e avanzano verso la riva in direzione opposta ai primi.

La riva. Indescrivibile.

Mucchi di pesce ovunque: li sono conchiglie grandi come noci di cocco, qua sono seppie e calamari, più in là pesci coloratissimi e di tutte le dimensioni, qua anguille e pesci simili a serpenti corallo, più in là tonni e mostri marini dalle facce orribili, un uomo cammina tenendo per le antenne un mazzo di aragoste giganti. Uno squalo giace con la bocca verso il cielo. Poi gli asini.

Sono a centinaia i carretti trainati da asini su quella spiaggia, ne ho contati una sessantina giusto intorno a me, ma chissà quanti altri. Sono venuti a caricare il pesce per portarlo chissà dove, chissà per conto di chi. La magia è che nessuno fa caso a me, con la mia camicetta a righine bianche e rosse tutta bella stirata. Scanso ad ogni passo gente con pesi sulla testa o carretti. Mi devo togliere le scarpe per non dover poi buttarle via. Una umanità poverissima che non invidio, così diversa da quella del deserto della settimana precedente. Storpi ovunque, gruppetti di venditori e barche in secca. Nessuno mi calcola, mi rivolge la parola, fa cenno di avermi notato … e ne sono felicissimo.

Le barche sono la cosa più bella di questo posto. Di legno d’albero, tutto d’un pezzo, coloratissime come in Ghana, con a bordo dalle 15 alle 30 persone, molti bambini, facce povere e sofferenti, occhi scavati dalla stanchezza, vestiti laceri. Nessuno parla francese. Provo a chiedere in giro qualche informazione, nulla. Appena una barca arriva sul bagnasciuga tutti scendono e cominciano a tirare in 20 o 30 questi scafi che pesano tonnellate. Arriva un’onda più forte e ci si deve scansare d’un salto perché la barca si inclina improvvisamente dando un colpo di coda e se sei sotto con un piede sei spacciato. Comincio a capire perché nel seminario di Dakar, nella statistica delle peggiori forme di lavoro dei bambini, la pesca fosse al primo posto e capisco perché così tanti storpi tra quei pescatori. Bagnati fradici tirano la barca a terra e comincia la procedura per issarla lontano dal bagnasciuga. Usano le bombole del gas come rulli, ma l’operazione non è scontata, lo scafo scivola, ruota su se stesso altri vengono ad aiutare, ne conto 36 tutti intorno ad uno scafo particolarmente robusto, a spingere o a tirare o a fare contrappeso, l’operazione è lunghissima, si guadagnano pochi centimetri alla volta, dura circa 20 minuti, poi la barca è issata. Il lavoro non è finito, ci sono le reti da pulire e soprattutto il pesce da vendere. Sono le 5,40 del pomeriggio, occhiaie lunghe di chi si è svegliato prima dell’alba o di chi non è andato a dormire e non ne può più, cominciano le contrattazioni per chi è appena approdato. A 300 metri una scena tristissima. Due ruspe stanno caricando tonnellate di pesce che non si è venduto ed è da buttare, sui camion della spazzatura. Ce ne sono 4 in attesa di essere riempiti. La visione è straziante, le mosche non si contano, nessuno mi spiega perché quel pesce sia da buttare, non sono in grado di comunicare con nessuno e le 2 cose mi danno una certa ansia.

E’ l’ora del Maghrib, nel brulichio di gente, molti cominciano la preghiera tra asini, mucchi di pesce, fuocherelli in cui si arrostisce qualcosa, casse vuote o piene e viavai continuo. Non c’è quasi lo spazio fisico libero per prostrarsi ad Allah. Da uno che si inchina diventano 2 poi molti, poi d’improvviso quasi tutti, spalle al mare, si sentono solo le mosche e gli asini che ragliano. Una fila disordinata di culi sollevati nel tramonto, uomini laceri e donne dai veli coloratissimi, tutti silenziosi, per una volta mescolati i due sessi, senza separazioni, a ringraziare forse di essere ancora vivi, forse solo a compiere un dovere a cui non si può derogare. Le barche che stanno approdando mancano della manodopera necessaria e temporeggiano l’approdo, sono arrivate al momento sbagliato; dopo 6 o 7 minuti, però, il brulichio si riaccende tutto d’un colpo e tutto torna come prima.

Le barche allineate sulla spiaggia a 15 metri dal bagnasciuga sono un mosaico di colori da fare invidia al più bell’arcobaleno. L’occhio non riesce a vedere la fine delle prue allineate lungo la linea del mare, sono veramente migliaia. Mi siedo all’ombra di una di esse un po’ in disparte e guardo le scena di vita di questo girone infernale, qualcosa mi impedisce di andarmene e resto inchiodato a guardare la stessa scena che si ripete sempre uguale e sempre con dettagli diversi; neanche sento più tanto la puzza. Si è levato il vento e ancora sono tantissime le barche che stanno rientrando al porto. Porto? Chissà perché lo chiamano porto, certo sarebbe bello se facessero un vero porto in modo che non fosse più necessario issare ogni giorno le barche a riva con i pericoli e la fatica che ciò comporta. Intanto mi rendo conto che i colori, gli odori e le immagini mi stanno letteralmente ubriacando e mi dico che è meglio pensare di rientrare.

“Fino alle 8 di sera è così” mi dice il taxista che mi riporta in centro, e alle 5 del mattino si ricomincia… l’unico momento tranquillo è dalle 11 alle 15. Tranquillo per lui, non per chi sta in mezzo alle onde. I colori stemperano nel ricordo della puzza e gli occhi stanchi sembra che ancora mi stiano osservando senza darlo a vedere….

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