#LavoroNonprofit: Qual’è l’atteggiamento giusto?

#LavoroNonprofit: Qual è l’atteggiamento giusto?

Quando si presenta il proprio profilo, spesso si tende a sottolineare maggiormente le “hard skill” e i titoli, perché senza le competenze tecniche richieste è impossibile svolgere un lavoro con la necessaria professionalità. Ma moltissimi candidati sono preparati tecnicamente.  La preparazione tecnica è una precondizione necessaria, ma non sufficiente. Per entrare nel settore e soprattutto per rimanerci, serve molto di più.

Gli HR Manager nelle ONG e nel Nonprofit guardano moltissimo anche all’atteggiamento, alle qualità del carattere, al modo in cui un candidato lavora e fa lavorare il team – tutte caratteristiche cioè strettamente legate alle “soft skills”. Meglio con un ottimo atteggiamento e con poca esperienza, che il contrario.

Tirso Puig, Direttore Operativo Responsabile del Career Development Service della Social Change School, ci aiuterà a capire l’atteggiamento vincente per lavorare nel Nonprofit, riassumendo nel suo intervento non solo la sua esperienza, ma anche quella degli HRM, in ambito internazionale.

“Se dovessi definire in poche parole l’atteggiamento giusto per lavorare nel Terzo settore, sicuramente ricorderei:

  • Impegno sociale pregresso: non basta essere preparati, quanti altri candidati lo sono? Quello che spesso fa la differenza è l’essere impegnati nelle cause con cui si lavora. Esempio: Se ti viene chiesto perché vuoi un lavoro in un progetto di sviluppo sostenibile, il responsabile della selezione sarà più predisposto a selezionarti se hai già lavorato come volontario nello stesso settore o se comunque hai in passato dimostrato interesse per quella tematica.
  • Etica e morale: in cosa credi? Come puoi dimostrarlo? È sempre più importante assicurarsi che le risorse selezionate siano persone con dei solidi valori personali, anche alla luce dell’impegno che si presuppone un lavoratore del Terzo settore debba avere. Gli standard che una ONG si aspetta da questo punto di vista sono molto elevati, non solo alla luce dei recenti scandali che hanno coinvolto diverse organizzazioni Nonprofit. Ed ora più che mai sono importanti, perché esserne portatori ci permette di agire dall’interno e contribuire a mantenere l’allerta alta anche dall’interno.
  • Apertura alla diversità: sia che si lavori sul campo che si lavori nelle sedi, l’ormai sempre più complesso scenario mondiale in cui si trovano a lavorare i professionisti del Nonprofit li mette sempre più in contatto con realtà, culture e staff internazionali. Per questo la capacità di sapersi muovere in contesti multiculturali e l’empatia, sebbene possano sembrare di piccola importanza se paragonate a un titolo di studi idoneo per una determinata vacancy o a degli anni di esperienza per adempiere i requisiti, sono in realtà caratteristiche fondamentali e che possono far muovere l’ago della bilancia in fase di selezione.
  • Proattività: una parola spesso usata e che ancor più spesso appare vaga e indefinita, ma che rimane uno degli atteggiamenti “più vincenti” ed essenziali. Nel settore del non profit, mantenendo sempre la professionalità, la proattività è essenziale, prima di tutto per entrare nel mondo del lavoro, e in secondo luogo per il networking e il mapping, temi affrontati spessissimo con i nostri corsisti. Bisogna farsi conoscere e conoscere istituzioni e organizzazioni, bisogna ripetutamente insistere nelle application: bisogna essere proattivi. Un atteggiamento che poi spesso diventa anche un elemento di valore aggiunto quando vieni valutato e selezionato.
  • Umiltà: è molto frequente che il proprio lavoro venga fatto con altre persone, in gruppo. Per questo motivo bisogna capire che il lavoro di tutti è fondamentale, che il proprio lavoro non ha più peso di quello degli altri e bisogna essere in grado di essere umili nel riconoscere che non è possibile fare tutto da soli.”

Per Marco Crescenzi, in 20 anni il settore è molto cambiato e le organizzazioni danno enormemente più importanza alla professionalità rispetto a prima:

“Di quanto ha giustamente detto Tirso, sottolineo l’umiltà – anche ai nostri fellows. Umiltà a volte anche ad accettare posizioni più basse delle aspirazioni per crescere con più tempo, umiltà di studiare un’altra lingua (ad. es. il Francese), umiltà di raccogliere i consigli e di ascoltare, umiltà di mettersi in discussione, di non scaricare ‘le colpe’ delle proprie difficoltà sugli altri. Ma per chi aspira ad una carriera manageriale, a fare la differenza sono anche:

  • Una ferrea determinazione al risultato, in primis per i beneficiari e per l’organizzazione, senza passare sugli altri come carri armati, ma neanche avendo troppa pazienza ed ‘amicalità’ e buonismo improduttivo.
  • La capacità di leadership – coinvolgimento e persuasione degli stakeholders: dai beneficiari del progetto, all’equipe di lavoro, ai partners, ai donatori, alle istituzioni, le imprese, etc.

Il nostro lavoro non è da ‘Eroi’, ma certo richiede degli standard elevatissimi, e non ci possiamo valutare né solo con l’impegno né con la metrica (larga) di altri settori.”

Ai fellow iscritti ai nostri Master, lasciamo qualche consiglio:

  • HOPE – Master in Humanitarian Operations in Emergencies: la differenza la farà la vostra tenuta psico-fisica, la capacità di gestire lo stress, la voglia di sacrificarvi e il sentire il vostro lavoro come una missione, nonostante le difficoltà.
  • FRAME – Master in Fundraising Management: è essenziale per voi puntare sulle public relations, portare valore (sia anche il sorriso) nelle relazioni, aumentare la vostra capacità di leggere ogni situazione ed essere in grado di rapportarvi con tutti;
  • PMC – Master in Project Management for International Cooperation: la flessibilità è quello che le ONG si aspettano da voi, perché vi potreste trovare in qualunque situazione – dal dover essere comunicatore allo scrittore di progetti o a dover rendicontare. Ma anche precisione e capacità di rispetto delle deadlines.

Il suggerimento in generale è quello di identificare i vostri punti di forza e quelli di debolezza: siate in grado di esaltare i primi e migliorare i secondi, consapevoli che per essere “vincenti” nel terzo settore c’è bisogno di una crescita continua.

 

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