#Working4HRM- L’Umanitario tra vecchie e nuove frontiere: i profili emergenti

11 Ottobre 2016 – Intervista a Lodovico Mariani, Direttore di HOPE– Master in Humanitarian Operations in Emergencies Managing Projects, People, Administration & Logistics in the field per il progetto #Working4HRM:

1-      Quali sono i profili professionali più difficili da reperire nell’ambito dell’emergenza umanitaria?

Finance Officers, Figure di Coordinamento e rappresentanza locale.

Un ruolo poco citato, ma sempre più ricercato dalle Risorse Umane nell’umanitario è il Finance Officer. Manca personale con competenze amministrative e contabili, penso questo dettato da due motivi principali: difficilmente si sa che nel settore umanitario sono necessarie queste competenze da una parte, dall’altra forse chi ha questo tipo di competenze non ha nel proprio immaginario quello di spenderle in luoghi lontani e poco confortevoli. Una delle posizioni sempre più difficile da colmare.

Profili difficili da reperire sono anche quelli fortemente tecnici perché ce ne sono di meno disponibili (es. ingegnere o geologo con esperienza sul territorio preferisce andare a lavorare per una compagnia petrolifera guadagnando in 6 mesi, 4 volte di più di quello che si guadagnerebbe in 12 mesi in una ONG)

Figure di coordinamento: es. i rappresentanti legali delle organizzazioni nei paesi di intervento: sono luoghi complicati. Con deterioramento della sicurezza, complicazioni logistiche, esposizione mediatica etc., è sempre più complesso trovare persone disposte ad assumersi questo genere di responsabilità e di sfide.

2-      Quali sono i ‘profili emergenti’ di cui ci sarà sempre più bisogno in futuro?

Data base experts/managers, Cash Programming Manager.

Con le nuove tecnologie ci sono figure specificatamente dedicate a usare l’informatica applicata per migliorare i servizi che si forniscono alle persone: non dobbiamo dimenticare che l’azione umanitaria non può prescindere dalle persone, le cui esigenze sono al centro del nostro operato.  Quella informatica, però, sta diventando una competenza traversale.

Nelle sedi centrali delle ONG forse è diverso, ma sul campo restano le esigenze di sempre e la competenza informatica va a completamento del profilo della persona. L’umanitario sta al passo con i tempi, ottimizza le risorse e sfrutta le nuove possibilità tecnologiche. In questo quadro una figura specifica che è sempre più richiesta è quella del Database Experts o Manager.

Sempre di più l’aiuto umanitario si sta spostando dal fornire beni al trasferimento di denaro finalizzato all’acquisto di beni a seconda delle necessità della popolazione. Chi meglio delle stesse persone conosce le proprie necessità? Il Cash programming è oggi una delle modalità di fornire assistenza e quindi servono persone specializzate che sia in grado di gestire al meglio questi passaggi non solo nella gestione del denaro, ma proprio nel saper capire se è il caso di fornire il denaro, in che modalità e soprattutto a chi. Quindi l’ambito del ‘Cash Programming’ è sicuramente un profilo emergente.

3-      Si sta assottigliando il confine tra sviluppo ed emergenza, come sostengono alcune ONG, con sempre più progetti a metà tra accoglienza, resilienza, sviluppo? In che modi?

Nel dibattito attuale ormai molti degli attori concordano che esista un continuum tra le due fasi. Rispetto a 10- 15 anni fa il mondo di chi fa emergenza tiene conto di ciò che succede dopo. Prima si metteva un cerotto e non si pensava al dopo. Ora nessuna programmazione funziona più così, quale sarà l’impatto almeno nel medio termine delle soluzioni proposte deve essere tenuto in considerazione anche quando si fa primissima emergenza. Che si faccia emergenza o che si faccia sviluppo bisogna ricordarsi che in primis vengono le esigenze delle persone.

Si pensi al caso del Tifone Hayan nelle Filippine nel 2013: la zona costiera fu spazzata via dalle onde. La prima risposta fornita dalle organizzazioni è stata quella di fornire tende  alla popolazione che voleva installarle vicino a quello che rimaneva della loro casa. Negli stessi giorni il Governo aveva stabilito una ‘red zone’ sulla fascia costiera nella quale sarebbe stato vietato in futuro costruire nuove abitazioni. Con questo tipo di divieto l’andare a fornire tende alla popolazione nelle ‘red zone’ avrebbe portato a mettere in condizione di diventare futuri sfollati coloro che ricevano la tenda, creando un potenziale pericolo nel futuro. E’ stato quindi necessario ridefinire il posizionamento delle tende per evitare problemi in seguito.

Si ricercano soluzioni alternative che non vadano a creare situazioni dannose anche nel dopo. Esempio di come anche in emergenza si debba tenere in considerazione della prima fase di ricostruzione di strutture e tessuto sociale funzionale ad una ripresa, fase in cui poi rientra lo sviluppo. Le organizzazioni più grandi, che intervengono ad ampio spettro e che in passato avevano due settori (emergenza e sviluppo) che lavoravano a compartimenti stagni, oggi fin dalle prime fasi creano un interscambio tra i due settori. In fase di emergenza si prepara il terreno per le attività che sono più classicamente di sviluppo. C’è indubbiamente un maggiore dialogo tra i due ambiti.

Nel confine tra i due ambiti, va poi tenuto in considerazione un fattore esterno: la definizione del contesto data dalla comunità internazionale – governi e nazioni unite – con i relativi finanziamenti, che a volte a seconda della contingenza politica definisce dei contesti emergenziali anche quando in realtà si tratta di contesti che ad una lettura indipendente sono maggiormente identificabili come contesti di sviluppo.

4-     Come gestire al meglio gli espatriati, anche in termini di induction prima e poi di formazione continua sul campo?

La gestione degli espatriati non riguarda solo la formazione.

Momento fondamentale è quello dell’inizio della collaborazione, definito in diversi modi da diverse organizzazioni: Induction, Introduction to the organization oppure on boarding. Prima di mandare in missione in Sud Sudan un operatore è vitale, non solo necessario, che la persona comprenda il contesto organizzativo. Che stile ha, che strumenti utilizza, come si muove sul territorio, quali sono le sue strategie generali altrimenti il rischio di fallimento è altissimo. Ogni organizzazione declina a suo modo il modo di fare emergenza, e chi andrà sul terreno a rappresentarla deve conoscerla e sentirsene parte.

L’induction non è formazione. Si presuppone che la persona selezionata abbia già le competenze necessarie ma deve saperle declinare al meglio a seconda dello stile della ONG.

Formazione continua: le Ong italiane ancora oggi in modo abbastanza residuale, purtroppo. La formazione costa e si ha il timore di investire su una risorsa che poi se ne andrà portando il suo know how altrove. Spesso la formazione viene quindi usata come strumento di retention: l’idea è che se io come organizzazione ti fornisco varie occasioni di crescita professionale, tu risorsa sarai più motivata a rimanere nella organizzazione.  Avere personale impiegato a lungo termine è un vantaggio per un’organizzazione perché non si dovrà sempre ripartire da zero soprattutto in un settore come quello umanitario in cui le risorse umane sono piuttosto volatili e si percepiscono quasi come liberi professionisti.

5-      Qual è la prima cosa che l’Europa dovrebbe fare sul tema dei rifugiati e nella gestione dell’emergenza? Qual è oggi il ruolo (e peso politico) delle ONG?

Il problema più grave che vedo è la mancanza di una presa in carico da parte della politica, il tema degli arrivi viene usato solo per politiche di piccolo cabotaggio che guardano solo al presente. L’Europa dovrebbe rendersi conto che non si sta parlando di un’emergenza momentanea, si sta parlando del FUTURO: gli uomini si muovono, lo hanno sempre fatto e sempre più lo faranno, alla ricerca di condizioni di vita dignitose. Ci vuole una politica lungimirante e di gestione che sappia proporre soluzioni inclusive e dignitose. Il ruolo più importante delle Ong in questo contesto dovrebbe essere quello di Advocacy perché non si parla di paesi senza risorse e capacità. In Europa non mancano i mezzi, quindi le ONG non si devono sostituire, ma devono spingere perché la società ed i governi mettano a disposizione le risorse per garantire dignità alle persone in arrivo.

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