Ci crediamo vaccinati per il Terzo Mondo, ma la realtà supera sempre la fantasia

Andrea Stroppiana | 8 Settembre 2015

Quando lavoro per le Nazioni Unite mi aspetto di trovare begli alberghi, begli uffici, e tutte le comodità che i funzionari esigono nella loro vita “sul campo” dove sul campo significa viaggiare con auto da 50.000 dollari con aria condizionata, sbarcare in alberghi con aria condizionata e trasferirsi con le auto di cui sopra in uffici con aria condizionata per andare magari mezza mattina, in tutta la missione, sul luogo dei progetti,  restarci una oretta intramezzata da pranzo o merenda organizzata e poter dire che si è andati nell’inferno del bush (la brousse qui che sono francofoni!).

Qui è tutto diverso. Direi che è la realtà delle ONG a cui siamo più abituati.

Nouakchott. La capitale è una landa piana e desolata, poche strade asfaltate e dune di sabbia del deserto su ogni via laterale o marciapiede dove le auto non possono passare se non sono 4X4. La guest house era piena e alle 2 di mattina mi hanno parcheggiato con grande imbarazzo (loro, non mio) in un albergo da fare invidia ai peggiori funduq dello Yemen. Ho visto che l’organizzazione era poco UN e molto ONG da questi primi dettagli. Il viaggio che doveva durare 2 giorni per non sovraffaticare gli autisti e garantire la sicurezza dei viaggiatori, è durato in realtà 13 ore consecutive e tutte concentrate in un solo giorno cominciando alle 4,45 del mattino (dopo solo 2 ore e mezzo di sonno sia mie sia dell’autista che era venuto a prendermi in aeroporto) e finendo alle 7 di sera ad Aioun, la mia destinazione, una cittadina di 8.000 abitanti, persa nella più completa culonia dove davvero gli occidentali non passano, prima di tutto perché non ci sarebbe nessunissima ragione per passarci.

Tutto il viaggio è avvenuto in mezzo alle dune del deserto, pochi e sparutissimi alberi spinosi, capre, asini, mucche e cammelli a profusione.

Tutto il percorso letteralmente cosparso da migliaia di carcasse di mucche, asini e cammelli uccisi dalla siccità. Per intenderci in un anno cadono sulla Mauritania circa due terzi dell’acqua caduta su Roma in un giorno di regolare inondazione della metro. Pare che questo sia il più arido paese di tutto il Sahel (primato davvero invidiabile).

Durante il viaggio ci siamo fermati a mangiare in un ristorantino sulla strada, a dire del mio coordinatore mauritano, il migliore di tutto il percorso. Una tenda aperta da 3 lati con tappeti e, su di essi, materassi iperluridi per terra (e per dirlo io…..); sono circa 3 mesi che non cade una goccia d’acqua e al vedermi bianco e coi vestiti occidentali (qui tutti portano la jallaba), per carineria, il proprietario ha preso uno dei cuscini per terra e l’ha sbattuto con forza sul lurido muro di una casa laterale con l’intento di spolverarlo, levando una nuvola di polvere (metà del muro e metà del cuscino) che ha annebbiato letteralmente la tenda dimezzando la visibilità. Ha provato a farlo una seconda volta ma è stato bloccato da un mio gesto che diceva: “te ne prego in ginoccho, non lo rifare”, shoukran! Poi mi ha porto il cuscino invitandomi a sdraiarmi e metterlo sotto la testa, come facevano tutti gli avventori. Ora io non sono propriamente schizzinoso, ma quel tappeto e quel cuscino (su cui si camminava scalzi) mi invitavano piuttosto a stare in piedi! Ho dovuto allontanarmi per poter respirare mentre gli altri avventori sembravano non aver neanche notato la cosa; diradata la nebbia sono rientrato, poi piano piano mi sono seduto con noncuranza per terra.

Il meglio doveva ancora venire.

La tenda era piena di capre che entravano e uscivano continuamente visto che era aperta dai 3 lati, ciascuna faceva pausa a bere da una brocca piena di acqua giallastra poggiata per terra. Su un lato della tenda c’era una capra scuoiata e crocifissa su due pali ad X, in vendita ai passanti.

Vedo che l’uomo taglia una bella fettona di capra e la mette su di un braciere acceso. Erano le 8,30 del mattino e già avevamo 32 gradi.

La capra scuoiata era un invito a nozze per tutte le mosche della regione così come le cacche che continuamente ed ovunque le capre lasciavano per terra su tappeto, materassi e cuscini. Ci crediamo vaccinati per il Terzo Mondo, ma la realtà supera sempre la fantasia. L’uomo del ristorante con noncuranza, prende la brocca e versa il poco di acqua giallastra rimasta dall’abbeveraggio di decine di ovini, nella teiera che poi deposita sulla brace insieme al trancio di capra tagliato prima. Purtroppo sia il thé sia la capra erano per noi. Ciliegina sulla torta: la colazione (che poi ha fatto le veci del pranzo) veniva accompagnata da una freschissima e croccante baguette stile francese la quale veniva poggiata sul tappeto di cui sopra.

Inutile dire che le posate erano (sono ovunque in Mauritania) inesistenti e si mangia con le mani, strappando a morsi lembi di quella carne durissima di animale vecchio; mi consolavo pensando che almeno era vissuta libera mangiando foglie e spine nella natura! Mentre lo penso (si sa che i pensieri attirano la realtà) vedo una bella caprona masticare con tenacia un sacchetto di plastica unto da chissà cosa e, dopo un po’, trangugiarlo completamente.

Qui ad Aioun ci sono circa 6 o 7 ristoranti, ma mi è stato raccomandato di usare solo due di questi posti sulla strada principale “per motivi di igiene”. Sono né più né meno di quello lungo il tragitto, solo, a pranzo, si ha la fortuna di trovare anche un po’ di riso con qualche frammento di patata, carota, cavolo bolliti insieme che fanno il lusso del pasto e sono disponibili in quantità limitatissima. A cena solo capra. Devo dire che guardandomi intorno nel viaggio posso facilmente capire il perché. In Mauritania non cresce quasi nulla, l’agricoltura copre assai meno dell’1% del territorio e la stagione delle piogge dura meno di 3 mesi. E’ normale che sia disponibile quasi soltanto la carne di ovino vecchio ed il resto sia un lusso per i giorni fortunati. Unico frutto le banane e qualche mango che si trova al mercato. Prima di andare via voglio provare anche gli altri ristoranti meno igienici perché non riesco ad immaginare cosa può essere peggio di quello che ho veduto. Ieri sera al ristorante un gruppo di ragazzini laceri mi aspettava fuori dalla tenda ristorante e appena mi sono alzato si sono fiondati sui miei avanzi di cibo per spartirselo… stasera li invito a cena…

L’ufficio FAO è una meraviglia, peccato non avere la macchina fotografica per immortalarlo. Un edificio a due piani in un vicolo luridissimo pieno di sabbia, spazzatura, asini e mosche. Oggi ho condiviso la stanza rovente con una capretta che non finiva più di belare fino allo sfinimento. Non ne potevo più di sentirla lamentarsi, le ho dato un po’ della mia acqua e si è chetata. Il problema è che qui non c’è acqua. Te ne accorgi quando vai in bagno o quando ti vuoi lavare le mani prima di mangiare. L’acqua è centellinata e riutilizzata anche in città dove lavarsi anche solo le mani con acqua semipulita è un gran lusso.

Fuori ci sono 46 gradi oggi. L’aria condizionata dell’ufficio non esiste e nell’hotel è rotta da tempo e non hanno neanche un ventilatore. In tutta Aioun non c’è un solo internet point e le pennette si trovano solo a Nouakchott. Scrivo seduto sul letto sudando come una fontana perché i tavoli non costituiscono una tecnologia diffusa in questo paese visto che tutto qui si fa per terra. Domani alle 6 parto per il “campo” dove resteremo tutto il giorno. “Preparati” mi ha detto il coordinatore “che forse domani non troveremo da mangiare”… quasi lo preferisco visti gli standard….

 

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