Innovazione sociale diffusa: la forza dei “piccoli”

Comunicazione ASVI Social Change | 29 Settembre 2015

Caterina Vollaro iscritta al Master MES- Master in Social Innovation, Social Business, Start Up Sociale e Progettazione Innovativa ci presenta tre esperienze simili, tre storie di co-working di matrice pubblica in Italia.

Alle porte della Smart City Exhibition che si terrà a Bologna dal 14 al 16 ottobre 2015, è interessante far emergere dall’anonimato alcune recenti esperienze che, in maniera più o meno consapevole, stanno disegnando nuovi modelli di governance, nuovi servizi, nuove relazioni e nuove pratiche di collaborazione tra cittadini, pubbliche amministrazioni e Terzo Settore.

Alcuni funzionari “illuminati” di Pubbliche Amministrazioni di provincia hanno deciso di scegliere uno dei protagonisti più “gettonati” della social innovation, il modello del co-working-incubatore, come strumento per scendere in prima linea nella promozione di innovazione, occupazione e crescita sui propri territori. Recentemente, infatti, sono nati i primi spazi di co-working e incubazione d’impresa di matrice pubblica in territori che tendenzialmente vivono ai margini del “jet-set” dell’innovazione ovvero in centri urbani piccoli, a volte piccolissimi.

È il caso delle tre realtà che qui vi presento:

Melting Pot si trova a Settimo Torinese (TO), comune di circa 47.000 abitanti alle porte di Torino (www.meltingpot.settimo-torinese.it). Nato a inizio 2013 all’interno degli spazi della bellissima e innovativa biblioteca comunale Archimede, Melting Pot è un co-working nel quale sono già operative diverse realtà fondate da giovani imprenditori. Un open space di 200mq con almeno 14 postazioni di lavoro, due sale riunioni, connessioni lan e wi-fi, stampanti, scanner, fotocopiatrici. Il tutto ricavato al primo piano dell’edificio della biblioteca, in locali precedentemente sottoutilizzati e, quindi, con un investimento iniziale irrisorio (poco più di 10.000€ che sono stati destinati all’acquisto di qualche elemento di arredo, dell’hardware comune e al cablaggio). “Abbiamo osservato che alcune persone utilizzavano gli spazi della biblioteca (tra cui alcuni speciali box insonorizzati) per svolgere la propria attività lavorativa. A volte anche per incontrare clienti e tenere delle piccole riunioni” spiega l’ex assessore e oggi vicesindaco Elena Piastra, promotrice e responsabile del progetto. “Il fenomeno tendeva ad aumentare e così, sicuri di aver intercettato un bisogno sentito dai cittadini, siamo partiti con un progetto pilota che contava 8 postazioni in una delle due attuali sale riunioni. Registrato il successo dell’iniziativa, abbiamo deciso di ampliare gli spazi offerti ed è così che oggi il co-working può contare su un grande open space”.

Accessibilità fino a tarda notte e nei weekend consentita dal riconoscimento degli accessi tramite Arduino, tariffe incredibilmente competitive rispetto ai co-working privati rese possibili dall’abbattimento dei costi generato dalle sinergie con gli spazi e il personale della biblioteca, possibilità di barattare le proprie competenze offrendo servizi al comune e alla biblioteca in cambio dell’utilizzo gratuito degli spazi sono alcuni dei fattori di innovazione e successo di questo spazio.

 “La sfida più grande per noi oggi, dopo una partenza in grande stile, è quella di riuscire a mantenere alto il livello di attrattività del co-working attraverso un intenso lavoro sui contenuti e sui servizi offerti ai giovani imprenditori al di là delle postazioni di lavoro”, continua il vicesindaco. “Affinchè Melting Pot cresca e ricopra sempre di più il ruolo per il quale è stato pensato- e cioè motore dell’economia e dell’innovazione territoriale- occorre che vengano destinate in maniera continuativa risorse specifiche e qualificate al progetto, che vengano affiancati servizi di supporto e di informazione ai giovani imprenditori, soprattutto sulle possibilità di finanziamento, che il co-working assuma un ruolo di attivatore di network tra aziende, investitori e cittadini del nostro territorio”.

Ancora più sorprendente è il caso di Torrevecchia Pia (PV), comune di appena 3.400 abitanti situato nel triangolo Milano-Lodi-Pavia. Qui il sindaco Roberto Nassi, in prima persona, ha dato vita al progetto #OpenTorrevecchiaPia, co-working ma soprattutto incubatore d’impresa pubblico che ha aperto i battenti a Novembre 2014 (www.opentorrevecchiapia.it). Il focus, in questo caso, è volutamente sull’incubazione di startup ad alto tasso di innovazione e tecnologia. A questo scopo, infatti, è stata stretta la partnership strategica con il Polo tecnologico di Pavia il quale offre, tramite OpenTvP, servizi di mentorship a startupper e imprenditori con le idee più brillanti fino alle borse di studio erogate alle idee di business ritenute più meritevoli per la partecipazione a una session di “Mind the Bridge Start-up School” a San Francisco. Anche in questo caso si è optato per l’abbattimento dei costi di struttura e per lo sfruttamento di sinergie con strutture ed edifici pubblici già esistenti. L’incubatore-co-working si trova, infatti, all’interno dell’edificio scolastico della Scuola Secondaria di I° Grado “A. Olivetti” e ciò consente l’applicazione di tariffe estremamente concorrenziali (consultabili sul sito). Un innovativo strumento di attuazione delle politiche giovanili e di sviluppo economico del territorio, dunque, che adesso deve affrontare una grande prova: attrarre da una parte aziende e startupper del territorio, dall’altra investitori privati. Solo così OpenTvP può sperare di rendersi sostenibile nel tempo e, soprattutto, indipendente dalle future sorti politiche dell’attuale sindaco e giunta comunale che tanto hanno personalmente investito nella sua creazione. Solo così può aspirare a generare un impatto rilevante e durevole sul territorio.

Caratteristiche ancora diverse ha LibertHub (www.liberthub.it), situato nel capoluogo della Brianza, Monza (122.000 abitanti). Qui il primo co-working pubblico di tutta la provincia è appena nato (giugno 2015) come parte di un progetto più grande che si pone come “modo nuovo di progettare e gestire il centro civico del quartiere”. L’aspetto più accattivante di questo progetto è che esso racchiude in sé tutti gli ingredienti che potrebbero renderlo, potenzialmente, un interessantissimo caso di social innovation e di Smart City: la Pubblica Amministrazione Comunale che ha costruito il centro civico nei cui locali Liberthub si è insediato; il Terzo Settore, presente con il Consorzio Comunità Brianza – consorzio di cooperative al quale il Comune ha dato in gestione i diversi servizi offerti nell’Hub; la cittadinanza, poiché Liberthub sorge all’interno di uno dei centri civici più amati e frequentanti della città immerso in una comunità di quartiere già precedentemente molto attiva nel contesto cittadino. Un cocktail potenzialmente esplosivo, in senso positivo naturalmente, se gli ingredienti saranno strategicamente mixati e gestiti.

Liberthub ha puntato molto su un tema di grande attualità e cioè quello della conciliazione. Il centro offre, infatti, anche un servizio di baby parking studiato per incentivare l’utilizzo del centro da parte delle neo mamme che tentano di ri-entrare nel mondo del lavoro attraverso la libera professione o l’imprenditoria. Per loro vi è la possibilità di accedere al bando Co-Opportunity del comune di Monza che consente di usufruire gratuitamente sia del co-working che del baby parking. Il centro offre anche altri servizi per l’infanzia (spazi gioco), per la famiglia (servizi di carattere socio-psico-pedagogico) e l’affitto di sale per riunioni, conferenze, corsi, feste etc. Ogni area è presidiata da una diversa cooperativa specializzata nell’erogazione dello specifico servizio e affiliata al Consorzio Comunità Brianza; si tratta di imprese sociali operanti da molto tempo sul territorio e, quindi, radicate, conosciute e connesse al territorio stesso.

Il co-working di Liberthub, come spiega Michele di Paola, responsabile del progetto, dovrà ora affrontare una grande sfida e cioè quella del mercato: il raggiungimento di un volume di utenza (clientela) sufficiente a garantirgli la sostenibilità economica, in un’ottica di impatto sociale stabile e di lungo periodo sul territorio. Per raggiungere questo obiettivo gli sforzi futuri dovranno concentrarsi sulla messa a punto di un’offerta più vicina possibile ai reali bisogni della comunità alla quale il centro si rivolge; su un costante lavoro in termini di contenuti, proposte, attività di community building; su una strategia di contenimento delle tariffe, ad oggi meno vantaggiose rispetto ai casi di Settimo Torinese e Torrevecchia Pia, pur garantendo l’economicità alla struttura.

La speranza è che queste iniziative, declinazioni distinte di una comune esigenza di cambiamento e innovazione, riescano a superare positivamente le prove che le attendono. Ad aprire canali di continui scambi di valore tra pubblica amministrazione, cittadini, terzo settore, forze economiche private.  A iniettare energie nuove in un sistema che non può più funzionare alla vecchia maniera. A promuovere modelli virtuosi di innovazione sociale “diffusa” che catalizzino i talenti e idee più innovative, ovunque essi si trovino, utili alla valorizzazione dei territori. Un fenomeno che, ci auguriamo, non rappresenti semplicemente una moda di passaggio, né un surrogato degli ammortizzatori sociali (come sostenuto recentemente da Fernando Napolitano, fondatore dell’Italian Business and Investment Initiative, intervistato da “Vita”) ma un nuovo stimolante orizzonte di possibilità.

 

 

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