Comunicare nella risposta alle emergenze: importante farlo, ma farlo bene

La comunicazione durante le emergenze diventa sempre più importante e strategica per le Organizzazioni non governative. Il piano di comunicazione deve essere parte integrante del piano complessivo della risposta alle emergenze. Così come la raccolta fondi. Non solo quindi attività programmatica sul campo e advocacy, ma anche comunicazione e raccolta fondi. Comunicare bene quindi contribuisce significativamente alla riuscita dell’intervento sul campo. E perché? 

Ci sono una serie di validissime ragioni. Non si tratta esclusivamente di essere visibili. Si tratta di essere trasparenti. Rendicontare ciò che stiamo facendo. Comunicare ai nostri sostenitori e potenziali tali come stiamo impiegando i fondi che ci sono stati dati. Che tipo di progetti stiamo mettendo in campo. E soprattutto dare voce ai beneficiari, che per un motivo o per un altro, durante un’emergenza sono vulnerabili e possono non essere in grado di farsi sentire adeguatamente per il rispetto dei loro diritti e il soddisfacimento dei loro bisogni.

In breve, comunicare significa: dire a chi ci sostiene e ad altri stakeholder cosa stiamo facendo; sostenere il nostro lavoro di advocacy e contribuire a fare pressione per ottenere da Governi nazionali e locali, Comunità Internazionale o altri attori ciò che ci sembra giusto per i beneficiari; coinvolgere e mobilitare i sostenitori; raccogliere fondi. Insomma, parte integrante della risposta alle emergenze.

Chiaro poi che bisogna farlo bene e farlo bene significa avere un piano, magari entro le prime ore dell’emergenza. Definire chi sono gli stakeholder a cui dobbiamo comunicare. Quali gli obiettivi e le azioni. Stabilire un budget, i tempi e i responsabili per ciascuna azione.

E poi, l’implementazione coerente del piano, seguendo alcuni principi di base: rispettare la dignità delle persone; non mettere a repentaglio il lavoro che facciamo sul campo; focalizzare la comunicazione sui beneficiari, i loro diritti e bisogni; uniformare i messaggi e parlare con una sola voce.

E occorre prepararsi attentamente, nominare almeno un portavoce, raccogliere storie e informazioni sul campo, saper gestire giornalisti “affamati” di notizie. E cercare di arrivare sui media per primi (ovviamente arrivare primi senza dire nulla di interessante e rilevante è completamente inutile).  Arrivare primi significa costruirsi un terreno favorevole per i media. Significa che i giornalisti faranno riferimento, almeno inizialmente, a noi per cercare le informazioni. Insomma, avere una maggiore e migliore visibilità. 

Tutto questo non si improvvisa, ci vuole preparazione e professionalità.
Mi piace sempre dire che la comunicazione in Italia è un po’ come il calcio. Nel calcio, tutti gli italiani sono (secondo loro) degli allenatori migliori. Nella comunicazione, tutti sono bravissimi comunicatori.

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