Uno splendore di capre

Sandro Calvani | 09 Settembre 2014

La vera lotta alla povertà globale va combattuta nei villaggi.

Ho visitato di recente alcuni villaggi nell’area di Yenan Chaung, nel distretto di Magwe in Myanmar. È una delle aree più povere del Sud-Est Asiatico dove il reddito pro capite non arriva a 250 dollari l’anno, ben al di sotto della soglia di povertà di un dollaro al giorno, usata da anni dalla Banca Mondiale come indicatore di povertà assoluta. Thiri, una giovane veterinaria che lavora tra i più poveri, mi ha spiegato come basta un niente, che muoia una capretta o una banale diarrea da acqua sporca, per veder passare in un batter d’occhio i bambini più poveri dalla miseria cronica alla morte per fame.
Thiri mi ha chiesto quanti sono i più poveri nel mondo, la stessa domanda che le fa spesso la sua gente. Le ho risposto almeno un miliardo. Me lo ha fatto scrivere, perché non poteva crederci. Le sembrava un numero inimmaginabile. Visto che io insistevo che era proprio così, lei mi ha chiesto: “Ma io mi riferisco ai più poveri, quelli proprio in fondo alla classifica, un po’ come questa mia gente”. Rispondendole in inglese ho ripetuto che il fondo classifica è popolato da un miliardo di persone: Bottom billion”. Thiri era visibilmente sconvolta.
Il termine bottom billion cioè “il miliardo di persone in fondo alla classifica della povertà” è stato utilizzato da Paul Collier nel suo libro The Bottom Billion: perché i Paesi più poveri stanno fallendo e cosa si può fare (2007), dove esplora le ragioni per le quali alcuni Paesi poveri non riescono a progredire, nonostante gli aiuti e il sostegno internazionale. Collier sostiene che poco meno di 60 economie poverissime sono la patria di quasi un miliardo di persone. La sua statistica usa la definizione di poveri come coloro che hanno una disponibilità inferiore a 1,25 dollari al giorno. Ma ci sono anche grandissime incertezze sul come misuriamo la povertà globale. Per chi come me ha passato più tempo nei villaggi dove vivono i poveri che non in biblioteche o sale di dibattito statistico e politico, i traguardi numerici e le politiche dello sviluppo sostenibile restano un ectoplasma evanescente rispetto alla complessità di ogni vita vissuta nella povertà e alle trasformazioni necessarie perché ogni domani di una famiglia povera sia vissuto in una miseria minore di quella di ieri.
Circa la metà di tutti i poveri del mondo vivono in soli due Paesi – India e Cina – e l’ 80-90% dei poveri vivono in 20 Paesi con una popolazione numerosa, tra i quali Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo [DRC], Indonesia, Nigeria e Pakistan.
In termini statistici dunque le politiche di lotta alla povertà che si mettono in pratica oggi nei Paesi più colpiti dalla povertà saranno determinanti sull’impatto che si otterrà a livello globale. Già entro il 2030 i Paesi emergenti come Cina ed India diventeranno Paesi ad alto reddito, e alcuni di essi, come Brasile, Cina e Indonesia potrebbero farcela già entro il 2025.
La globalizzazione degli ultimi tre decenni ha aggiunto una nuova sfida che non era stata ben identificata prima. La povertà potrebbe facilmente spostarsi in Paesi a medio reddito a causa delle nuove e crescenti disuguaglianze di accesso a servizi fondamentali come salute ed educazione, espressioni di una inequità sociale che cresce in quantità e qualità. E la natura della povertà sta cambiando, da semplice mancanza di soldi a una nuova povertà multifunzionale.
Esiste già un indicatore di povertà multifunzionale per misurare la privazione in molti tipi di povertà conosciuto come Multidimensional Poverty Index (MPI) e sviluppato da Oxford Poverty and Human Development Initiatives insieme al Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP).
A Thiri e alla sua gente tanti numeri ed indicatori interessano poco. Con un programma di banche comunitarie di capre vogliono tirare fuori dalla povertà 2.500 persone. Thiri in lingua Myanma significa Splendore, e quello che fa è splendido.

 

Pubblicato sulla rivista mensile ” Nuovo Progetto” Giugno/Luglio 2014

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