Il Fundraising al tempo della carta igienica

Giampiero Giacomel | 8 marzo 2016

Se il titolo potrebbe sembrare una provocazione, di provocazione non si tratta. Si tratta di educazione. Anzi, per essere precisi di istruzione. Si, perche’ è ormai un decennio che in Italia le scuole primarie e secondarie sono costrette a chiedere alle famiglie degli studenti contributi economici per fotocopie, cancellerie e, appunto, carta igenica.

In termini tecnici siamo di fronte a una tassa occulta che, essendo richiesta in eguale misura a tutti, pesa sopratutto sulle tasche di chi puo’ di meno. Un problema di equita’ e giustizia insomma, sopratutto perche’ di scuola pubblica stiamo parlando.

C’e’ chi si strappera’ le vesti e preferira’ gridare allo scandolo per accusare la scuola di inefficienze e sprechi reali o inesistenti. Cio’ a noi poco interessa onestamente, perche’ piu’ che al colpevole a noi piace pensare alle soluzioni. Soluzioni che andremo a proporre di seguito e che se qualcuno sara’ indignato per la proposta di infiltrare un servizio pubblico con capitale privato, onestamente, tanto meglio.

Esiste un tabu’ in Italia. Il tabu’ si chiama partecipazione economica dei privati alla cosa pubblica. In altre parole l’uso di denaro privato per garantire i servizi di universita’, scuola, ricerca e quant’altro. Forse piu’ di un tabu’ sarebbe da dire un pregiudizio. Note banalita’ quali “se il privato dà soldi alla scuola, poi decidera’ cosa si studia” sono spesso la pietra tombale a qualunque discorso sulla possibilita’ di rendere il privato socialmente e direttamente responsabile senza l’intermediazione dello stato.

In fin dei conti è di responsabilita’ sociale che si parla. Mi chiedo per quale ragione un noto imprenditore della provincia di Siena non potrebbe decidere, come atto di responsabilita’ sociale, di pagare i costi della cancelleria o, appunto, della carta igenica, per la scuola di suo figlio. Cosa ci sarebbe di male?

Certo, chi ideologicamente è contrario non si convincera’, né e’ nostra intenzione convincerlo, ma se la cosa pubblica e’ di tutti, dove e’ l’errore nel far parteciapare il pubblico al suo corretto funzionamento?

Vi sono universita’ estere che pur essendo pubbliche devono fino all’80% del proprio bilancio in entrata a donazioni private come King’s College di Londra o la Columbia University. Vi sono anche musei di fama internazionale che grazie alle donazioni riescono a garantire a tutti ingressi gratuiti come il British Museum o la National Gallery. 

Chiaro che se il fundraising entrasse nelle scuole, universita’, comuni, ospedali e musei ci sarebbe bisogno di fundraisers, e questa nobile professione assumerebbe una luce totalmente nuova e un ruolo sociale esplosivo. Il fundraiser sa che la trasparenza nella gestione finanziaria è elemento fondamentale per rendicontare l’uso di quanto donato e questo cambierebbe per sempre l’intera amministrazione pubblica italiana. Trasparenza e rendiconto. Se si ottenesse solo questo e la carta igenica fosse ancora da pagare, sarabbe gia’ un bel risultato.

Chiaro è che per fare cio’, servono contratti di lavoro reali che impegnino l’ente concretamente. Investire in una assunzione di un professionista, impegna il cuore e la testa, prima del portafoglio. Se il settore pubblico investisse in figure professionali qualificate, la cultura del dono cambierebbe volto in tutto il paese.

Servirebbe un bando nazionale per l’assunzione tramite concorso di fundraisers per la scuola, universita’, cultura, musei e aziende sanitarie. Sarebbe un passo capace di rivoluzionare l’intero mercato del lavoro per la professione di fundraiser e la qualita’ dei servizi pubblici.

 

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