L’innovazione sociale sfida Ulisse e Damocle.

Ci sono troppe locuste tra i leaders che dovrebbero governare o guidare la buona gestione del bene pubblico e le innovazioni necessarie.

Sandro Calvani | 2 Gennaio 2014

Nelle settimane scorse ho fatto un viaggio di lavoro in Italia, invitato a tenere lezioni sulla social innovation presso Università e centri di formazione, comprese alcune istituzioni in Calabria. Ho incontrato qualche centinaio di giovani che cercano coraggiosamente il punto di partenza di un sentiero per mettersi in cammino tra i cambiamenti necessari nelle società moderne. Non chiedono se il sentiero sarà pericoloso o troppo in salita da restare senza fiato; ai leaders chiedono solo di indicare la strada per cominciare e se possibile di lasciar intravedere la meta finale. Tuttavia molti leaders che si auto-proclamano innovatori sono brillanti a parole, ma scarsetti come guide e condottieri nell’applicazione pratica. Alcuni lo ammettono candidamente: “Il futuro è confuso… ce la facciamo a definirlo, sono ipotesi fantastiche da proclamare e da cantare ai giovani ma è molto difficile nuotarci dentro, soprattutto per chi non lo ha mai fatto … veramente non sappiamo che fare”. Non sorprende dunque che troppi giovani si sentano morire di noia, mentre si danno da fare per salvarsi come possono tra i due fuochi che incombono dell’ignavia da una parte e della svendita dei valori dall’altra.

Nel mio viaggio sono passato anche per Scilla, dalla parte calabrese dello stretto di Messina. “Trovarsi tra Scilla e Cariddi” è un modo di dire tramandato fin dall’Odissea di Omero che le descriveva come due mostri pronti a uccidere i naviganti che vi passavano vicino.  Scilla, “colei che dilania”, e Cariddi, “colei che risucchia”. E in mezzo a loro c’era il mare mosso che rendeva molto difficile la navigazione per il povero Ulisse. Una Scilla mostruosa nella società moderna è la grande e crescente disuguaglianza causata dal capitalismo sfrenato e senza regole. Gli Ulisse moderni sanno bene che essa dilania qualunque forma di innovazione sociale e stanno dunque alla larga da profitto e capitale. I leaders Ulisse stanno anche ben attenti a non avvicinarsi a coloro che governano i beni pubblici: sanno che politici e politicanti risucchiano coloro che vogliono “servire” i popoli per poi ucciderne la vocazione altruista.

Appena superata questa prova, gli Ulisse sopravvissuti, navigando nella via di mezzo del social business, sanno di dover affrontare il canto che ammalia di qualche splendida sirena. Lo fanno facendosi legare al palo, all’albero maestro della loro nave, che li tiene al sicuro da ogni rischio di lasciarsi coinvolgere dalle musiche delle sirene.  Le sirene moderne sono delle creature ibride, esseri mezze donne e mezze pesci che sanno cantare ma anche nuotare, molte delle quali hanno belle sembianze asiatiche, dove l’ibrido tra profitto e condivisione delle ricchezze, detto anche economia circolare, è appunto molto ammaliante e conquista quasi tutti, tranne quelli che sono legati mani e piedi al palo. Per essere sicuri di non essere slegati dai loro marinai, gli Ulisse chiudono le orecchie dei loro uomini con tappi di cera perché non sentano quella musica diversa e troppo attraente.

Un altro gruppo di leaders europei si chiamano Damocle. Il più famoso di loro era un cortigiano ossequioso alla corte di Dionigi Secondo, tiranno di Siracusa nel quarto secolo prima di Cristo. Damocle era bravissimo nell’assecondare il suo Re. Gli stava vicino senza macchiarsi dei misfatti del tiranno e allo stesso tempo poteva usufruire dei vantaggi di essere nel giro di un grande uomo di potere e di autorità, circondato da magnificenza, di cui Damocle approfittava. Damocle era dunque un leader di secondo piano ma si considerava davvero molto fortunato e ammetteva di essere un po’ invidioso di Dionigi. Venuto a sapere che a Damocle sarebbe piaciuto avere la posizione del vero numero uno, il Re Dionigi gli offrì lo scambio delle loro posizioni che Damocle accettò subito con entusiasmo. Appena sedutosi sul trono del Re, Damocle si accorse che Dionigi aveva lasciato un enorme spada appesa al soffitto con un capello di crine di cavallo, che poteva strapparsi in qualunque momento. La nuova posizione gli creava tanta ansia e un senso di costante paura di sbagliare che lo rendevano incapace di decidere alcunché. Damocle chiese dunque di lasciare subito l’incarico. Cicerone scrisse la storia di Damocle per sottolineare che in realtà potere e ricchezze non danno la felicità che viene invece dal vivere le proprie virtù, senza alcuna paura. I Damocle vivono dunque una vita giusta, in pace con le proprie virtù, senza sfidare il sistema di potere, né cercare di sostituirsi ad esso o di cambiarlo, cosa che creerebbe loro troppe paure.

I Damocle restano ottimi consiglieri per i leaders politici. Tra loro ad esempio, Dennis Blair, il direttore della National Intelligence del Presidente Obama (la più alta posizione di intelligence negli Stati Uniti), rivelò nel 2009 al Congresso degli Stati Uniti che la maggior minaccia alla ‘sicurezza nazionale’ era la crisi economica, molto più destabilizzante del terrorismo: “Vorrei iniziare con la crisi economica globale, in quanto si profila già come la più grave in vari decenni , se non in secoli… Le crisi economiche aumentano il rischio di pericolosi regimi falliti se esse sono prolungate per un periodo di uno o due anni… E l’instabilità può allentare la fragile presa che diritto e ordine hanno nei paesi in via di sviluppo, e ciò può insinuarsi in modo pericoloso all’interno della comunità internazionale.” Il Damocle americano vedeva giusto, ma non fecero nulla per cambiare strada.

Quattro anni dopo gente arcistufa della situazione occupa istituzioni e manifesta nelle piazze, si ribella a un futuro in cui l’unica cosa rimasta ai poveri da mangiare sono i ricchi sempre più grassi, sia in pancia che in banca.

In un loro recente e splendido libro “Sustainable Leadership” Gayle C. Avery e Harald Bergsteiner suggeriscono e descrivono  una soluzione che hanno visto funzionare in decine di casi di leadership efficace nell’innovazione. Abbandonare tutti gli approcci da locuste e lavorare tutti con metodi da api da miele. Cioè lavorare in modo inclusivo e collaborativo, visitare mille fiori ogni giorno e cogliere il loro nettare, la loro parte più dolce e nutriente e portarla a casa per condividerla con tutte altre api e con l’ape regina. Le api regine non fanno congressi, non hanno portavoce, ma tutte le api operaie le capiscono perchèle regine si sono scelte il lavoro più faticoso. Mai visto un’ape regina chiamata Ulisse o Damocle.

 

 

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