Allenatori di calcio o comunicatori?

Filippo Ungaro | 11 Novembre 2014

Ho partecipato recentemente a un workshop internazionale sul Brand e sul Posizionamento strategico. Il workshop si teneva in Asia e il maggior numero dei partecipanti erano appunto asiatici e anglosassoni (americani, inglesi, australiani). Tutto questo non è una coincidenza.

Il fatto cioè di trovarsi in Asia e che i partecipanti fossero professionisti dal Vietnam, India e Hong Kong (vale a dire i paesi protagonisti dell’attuale crescita economica mondiale), e anglosassoni (i mercati non profit più “sviluppati”) non può essere un caso. Italiani? Uno, solo io. Sappiamo benissimo che oggi la comunicazione è tutto o molto.

Chi non comunica semplicemente non esiste. E non può aspirare a una raccolta fondi che permetta in maniera sostenibile di portare avanti progetti sul campo degni di nota. Ma il problema non è solo comunicare. Nel nostro mercato, quello del non profit, così come in qualsiasi altro settore, bisogna saper comunicare. E farlo bene aiuta. La comunicazione non è solo una cosa accessoria, messa lì all’interno dell’organizzazione per fare, ogni tanto, un comunicato stampa. La comunicazione è molto di più di questo. E per farla, bisogna appunto saperla fare. Servono professionisti preparati. Al passo coi tempi e con il rapidissimo sviluppo delle nuove tecnologie. Occorre pensiero strategico ed esecuzione impeccabile per emergere nell’arena del non profit. Avete presente quando il lunedì in ufficio, di fronte alla macchinetta del caffè, tutti i colleghi pretendono di sapere esattamente come avrebbe dovuto giocare la loro squadra del cuore per vincere? Chi sarebbe dovuto entrare e chi acquistare alla prossima sessione di calciomercato? Ecco, la comunicazione a volte mi ricorda il calcio: così come siamo tutti allenatori di calcio, siamo tutti comunicatori. Tutti esperti. Tutti che pensano “che ci vuole?!”. Ebbene, a tutti questi voglio dare una notizia: non è così. Non sapete farlo. Non siete allenatori e non siete comunicatori. L’idraulico sa riparare il rubinetto. Il chirurgo sa operare. Il fundraiser sa raccogliere fondi. E il comunicatore sa comunicare. Se poi è anche bravo, ancora meglio. Non ho statistiche in merito, ma non credo che in Asia siano tutti allenatori di calcio. E non credo che lo siano neanche negli Stati Uniti o in Inghilterra. Così come non sono tutti comunicatori. Sicuramente sanno cosa significa comunicare e attribuiscono a questo aspetto un’importanza strategica. E infatti, dicevamo, non è un caso che asiatici e anglosassoni (solo loro) fossero a questo workshop. Oggi (ma in fondo è sempre stato così) definire che brand siamo e come vogliamo posizionarci sul mercato è fondamentale per avere un ruolo rilevante (e in particolare per raccogliere fondi). Chi non lo fa (mi piacerebbe tanto sapere chi è che lo fa in Italia) non ha molte possibilità di centrare i propri obiettivi. Un posizionamento chiaro e distintivo e la sua implementazione consistente e costante fanno la differenza. Recentemente (guarda caso in Inghilterra) diverse organizzazione non profit hanno avviato questo percorso (vi segnalo in merito questo interessante articolo: http://www.creativereview.co.uk/cr-blog/2014/october/childrens-charities-rebranding) . Altre organizzazioni seguiranno? Mi auguro proprio di sì e mi auguro che il settore della comunicazione nel mondo del non profit si avvalga sempre più di professionisti preparati. Di gente ciò che sa quello che deve fare. E allora? Niente più allenatori di calcio improvvisati ma formazione, formazione, formazione.

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