Innovare la cooperazione internazionale: e se le ONG non facessero più le ONG (come le abbiamo conosciute fino a oggi)?

Alessandro Bechini | 30 maggio 2013

 

Se un po’ tutti concordano sulla necessità di innovare la cooperazione per garantire un maggior impatto degli interventi sui beneficiari, mi sembra difficile approfondire l’argomento senza partire dalla necessità che uno dei principali attori in gioco, le Ong, inizino a mettere in discussione il ruolo che storicamente hanno ricoperto in questo campo.

Le Ong che abbiamo conosciuto fino ad oggi sono, soprattutto in Italia, molto spostate sul ruolo di implementatori di attività nei Paesi in Via di Sviluppo. Si presenta un progetto, lo si condivide con il contesto locale, si fa uno sforzo significativo con studi di prefattibilità, si compie – nei casi di eccellenza – anche una valutazione ex ante rispetto all’impatto che il progetto potrà avere sui bisogni dei beneficiari, si ottiene un finanziamento, si implementano le attività. In qualche modo, in questi anni abbiamo fatto la scelta di sostituirci “de facto” ai governi dei Paesi garantendo  – nei casi migliori – l’accesso ai servizi essenziali e ai processi di sviluppo.

E’ questo il ruolo che ci attendiamo dalle Ong nel prossimo futuro? E se le Ong diventassero una cosa diversa? Possiamo pensare alle Ong del XXI secolo come facilitatori di processi che devono poi svilupparsi in maniera endogena all’interno dei Paesi? Possiamo pensare alle Ong come degli agenti di sviluppo a livello globale, come connettori di alleanze, conoscenze e capacità?

Come ?

Spostando il nostro focus sulla parte di advocacy e sensibilizzazione sui temi, contribuendo alla costruzione di un’alleanza tra i popoli  finalizzata ad affrontare in maniera globale le tre grandi questioni (economica, sociale e ambientale) che sono ormai presenti, seppur con intensità diverse, in tutti i Paesi del Mondo. 

Questo permetterebbe anche di abbattere due recinti importanti, quello del “qui e lì” (perché la sfida diventerebbe globale e non più giocata soltanto all’interno dei PVS) e quello che separa  il profit e il non profit e ci consentirebbe di ragionare su alleanze globali destinate a migliorare l’impatto economico, sociale e ambientale delle attività intorno.

Siamo pronti per accettare questa sfida?

 

 

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