Peacebuilding … all’europea

Vittorio Villa | 26 Ottobre 2015

Partire per la Nigeria è sempre un concentrato di apprensione: la sicurezza non è mai garantita al cento per cento. Soprattutto a Jos, città capoluogo del Plateau State, nella Middle Belt Region del Paese. Non è al nord del Paese dove ha sede Boko Haram, ma il livello di insicurezza è tale per cui quando meno te lo aspetti succede qualcosa. Come a luglio, in pieno Ramadan, due kamikaze si fanno esplodere nel pieno centro della città. 49 morti. Era il giorno prima di un’altra mia partenza.

Stavolta l’apprensione non arriva dalla (in)sicurezza, però. Arriva da una e-mail della Delegazione della Commissione Europea in Nigeria che sta finanziando ad Apurimac Onlus un progetto di Peacebuilding. La Program Manager della Delegazione ci informa che vogliono approfittare della mia prossima missione per una visita congiunta, una sorta di audit sul progetto. Consapevole dell’impegno comincio a preparare le tabelle di monitoraggio necessarie a far fronte a quest’incombenza. Rileggo attentamente tutto il progetto, mi soffermo sui risultati, rivedo tutti gli indicatori e mi preparo a valutare l’impatto del progetto in funzione di quanto previsto sul narrativo e sul budget. In pieno rispetto del logical framework approach.

Quindi forte della preparazione e dell’esperienza maturata in oltre quindici anni di lavoro, parto. Prima tappa Abuja. Il tempo di uscire dall’aeroporto e via in Delegazione. Incontro la Program Manager e, sorpresa delle sorprese, il monitoraggio da loro previsto analizzerà “solo” l’impatto finanziario del progetto. Insomma, si lavora solo sul budget e sui rendiconti. Non faccio una piega, metto via l’ottanta per cento delle mie tabelle e mi concentro solo sugli aspetti finanziari.

Il giorno dopo si parte per Jos. La Program Manager mi informa che lei, per questioni di sicurezza, non ha avuto l’ok da parte della Delegazione a spostarsi a Jos, per cui vado da solo. Mi lascia le sue tabelle di monitoraggio da completare e parto. Il viaggio da Abuja a Jos dura tre ore di macchina. Joseph, l’autista, sceglie la strada più veloce, che tanto la sicurezza è garantita. Mi fido. Tre ore di paesaggio nigeriano che è un mix di verde e asfalto. La stagione delle piogge non aiuta, però, ad apprezzarlo come si deve. Il viaggio procede tranquillo, tra buche e check-point. I poliziotti ci fermano di tanto in tanto, ma ci guardano senza interesse, senza apprensione, segno che in questo momento il Paese è tranquillo.

Arrivo a Jos. Incontro lo staff locale e li informo delle richieste della Delegazione della Commissione europea. Sbuffano, si arrabbiano, protestano. La Delegazione, secondo loro, si sta facendo troppo pressante, troppo invadente con tutte queste richieste. Medio, faccio capire loro l’importanza di mantenere rapporti diplomatici con il nostro major donor, anche se faccio intuire, seppur velatamente, che non tutte le loro proteste sono sbagliate. Lavoriamo duramente per tre giorni. Sistemiamo i rendiconti, la prima nota (non proprio in ordine e allora capisco la veemenza delle proteste iniziali), faccio formazione sulle linee guida dell’Unione Europea e porto a casa il risultato.

Mancano ancora due giorni, però. Tiro fuori le mie tabelle e chiedo al nostro staff di andare sul terreno a valutare l’impatto del progetto sulle comunità locali. La reazione è esattamente l’opposta. Accolgono con piacere la richiesta e mi accompagnano a visitare le comunità beneficiarie del progetto. Sia quelle cristiane, che quelle musulmane. Li vedo orgogliosi, i colleghi nigeriani. Mi stanno facendo vedere quanto sia importante lavorare nelle comunità attraverso workshop sui diritti umani e sulla convivenza pacifica, quanto sia performante (giusto per usare termini tecnici) creare posti di lavoro attraverso la formazione professionale, quanto sia necessario lavorare per risolvere conflitti con modalità alternative alla giustizia ordinaria (si applica un primo embrione di Giustizia Riparativa). Insomma il progetto c’è e si vede.

Torniamo in ufficio e chiedo la documentazione di supporto: report di attività, elenchi, liste ecc. ecc. E la reazione è quella già vista in precedenza. Capisco che lo staff funziona benissimo sul terreno, un po’ meno in ufficio. Ho ancora un giorno. Facciamo una formazione intensiva su modalità di reportistica, archivio documenti e mi concentro sulle procedure d’acquisto. Spero abbiamo assimilato tutto e chiedo che mi producano i documenti entro una settimana, così da mettere in ordine, e a prova di Delegazione, tutte le attività di progetto.

Spiego loro che un conto è fare attività di Peacebuilding, un conto è fare attività di … Peacebuilding all’europea! Le cose sono simili ma non uguali. Sorridono, capiscono e promettono di mandarmi tutto entro breve.

Intanto mi preparo a tornare. Tre ore fino ad Abuja, aeroporto e partenza. Il tempo di arrivare in Italia e sento la radio annunciare l’ennesima strage in Nigeria.  A Maidougouri, al Nord del Paese. Altri kamikaze, altri morti. Innocenti.

E’ per questo che bisogna sostenere, applicare, realizzare azioni concrete di pace. Senza se e senza ma.

 

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