Destinazione finale Perù. Forse

Alessandra Cianchettini | 22 Dicembre 2015

Qualsiasi progetto, nella vita e nel lavoro, inizia nella nostra testa: si fa strada dentro di noi e se ci entusiasma e appassiona si traduce presto in sensazioni fisiche che ci invadono.

Pensate per esempio a un viaggio. Quante cose da fare? Programmare, organizzare, decidere, etc…L’adrenalina sale e abbiamo voglia di partire. Tutti ci siamo trovati a vivere un’esperienza delgenere, ma probabilmente lo abbiamo fatto con approcci diversi. C’è il “superorganizzato” che non lascia niente al caso e programma ogni istante del viaggio, cercando di immaginare quello che succederà per prevenire eventuali disagi, e chi, zaino in spalla, sta a vedere cosa succede e di volta in volta “aggiusta il tiro”. E’ di questo che parleremo oggi, spostando il focus dal viaggio al progetto.

Rimaniamo nella metafora: mettiamo sullo stesso piano il fatto d’avere un’idea e volerla trasformare in progetto con la decisione di partire per un lungo viaggio. Che approccio vogliamo avere rispetto a pianificazione e previsione?

Personalmente penso che il Perù sia un posto molto affascinante, ma questo non so quanto sia rilevante in questa sede, quindi… torniamo a noi. Nell’attesa della partenza possiamo fare almeno due cose: decidere di pianificare spostamenti, prenotare alloggi, scegliere cosa visitare e dove mangiare o stabilire il minimo indispensabile per poi organizzarci giorno per giorno.

Il primo approccio può darci l’illusione di riuscire a prevenire gli imprevisti salvo poi renderci conto che i piani cambiano perché intervengono circostanze che non possiamo conoscere a priori. Prima d’arrivare in Perù, ad esempio, non possiamo sapere se apprezzeremo più il trekking o le visite ai siti maya. Possiamo avere un’idea, ma non sappiamo se poi sarà davvero quella giusta. Quindi abbiamo due scelte: programmare tutto il percorso rischiando di dedicare parte del nostro viaggio a cose che avremmo evitato o lasciare spazio all’esperienza e alle idee che cambiano. Lo stesso accade in un progetto: a volte passiamo molto tempo a cercare di definire una programmazione del lavoro dettagliata e a lungo termine con la speranza di poter controllare le difficoltà, ma questo non è altro che un modo ingannevole per tenere a bada ansie e paure e non ha nulla a che fare con la capacità e la possibilità di risolvere problemi.

Con questo non intendo dire di andare allo sbaraglio, ma consiglio di abbandonare piani e false certezze per lasciar spazio all’ascolto e al cambiamento. Per fare questo però dobbiamo essere innanzitutto onestamente disponibili a modificare la nostra idea e nello zaino dobbiamo avere gli strumenti necessari per farlo. Fare piani per un lungo periodo ha anche a vedere con il concetto di previsione. A parte i pochi eletti che hanno a disposizione una sfera di cristallo, noi comuni mortali come possiamo sapere e decidere oggi come dovrà essere il nostro prodotto/servizio tra sei mesi o un anno?

La nostra soluzione ci appare migliore di altre e credendo fermamente che sarà utile e porterà del valore alle persone, investiamo molto o a volte tutto in essa, ma la realtà con cui dobbiamo fare i conti è un’altra: le nostre certezze sono solo attraenti ipotesi.

Non siamo noi ad avere le idee chiare sul progetto (anche se pensiamo di averle). Le uniche persone che sanno esattamente come vorrebbero che fosse sono coloro che ne beneficeranno. Il loro punto di vista è cibo per il nostro progetto. Invece di cavalcare certezze, prima di ogni altra cosa andiamo a chiedere alla gente se veramente ha bisogno della soluzione che abbiamo in mente e, soprattutto, come vorrebbe che fosse questa soluzione. Dimentichiamoci di come la vediamo noi, distacchiamoci dall’idea come se non ci appartenesse e dedichiamoci all’ascolto delle persone. Una volta in Perù, potremmo scoprire che vogliamo andare anche in Ecuador.

 

Photo credits Moyan Brenn https://www.flickr.com/photos/aigle_dore/

 

 

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