La fabbrica della fuffa

Andrea Stroppiana | 9 febbraio 2016

C’è chi la chiama aria fritta, ma a me il nome fuffa è sempre piaciuto molto di più per la sua giocosità e per il suono che evoca un soffio di vento. Mi trovo a produrre e vendere fuffa con diverse organizzazioni di consulenza per arrotondare il salario che mi passa a fatica l’ONG con cui collaboro. Per poter lavorare con le ONG è buona cosa essere ricchi di famiglia, se non lo si è restano due strade: una scelta di vita francescana o il mercato delle consulenze legate allo sviluppo offerte dal settore for profit o dai donor internazionali, sempre se non si vuole prendere in considerazione la strada del matrimonio con partner particolarmente abbienti o quella del super Enalotto…

Ed eccomi allora a Capo Verde in un team di 5 persone a fare un lavoro di identificazione di progetto che una ONG farebbe con meno di un ventesimo delle risorse e probabilmente con un livello superiore di efficacia e di ownership locale. Questi progetti, finanziati direttamente dalla cooperazione di un ricco paese che non posso nominare, hanno un processo di gestazione di diversi mesi con spese faraoniche. Quello che sto identificando questi giorni ha un costo di formulazione che eccede abbondantemente i 150.000 euro. Di progetti realizzati, ne ho visti alcuni come valutatore e posso affermare che il livello di successo, gli impatti attesi e le ricadute positive sui beneficiari diretti e indiretti sono perfettamente in linea con i progetti delle ONG e delle organizzazioni non profit con cui sono a contatto. L’unica differenza è che costano enormemente di più.

Cosa succede nella realtà?

Il team di 5 persone fa il giro delle 7 chiese, ovvero passa in rassegna gli stakeholders locali e chiede loro che cosa vogliono. Poi elabora congiuntamente (nel senso che ciascuno scrive il suo pezzetto) un documento da validare, a fine missione, con gli stessi attori di cui sopra. Poi il consulente passa una fattura astronomica con riconoscimento di diarie (il rimborso delle spese vive) che superano i 200 euro al giorno. Il risultato è una gigantesca BOZZA di progetto in cui quasi nulla è definito: Le attività sono a livello di macro azioni, da identificare e dettagliare nella fase preliminare all’inizio dei lavori, gli indicatori sono senza dimensione espressa, anche loro da definire nella fase di inizio progetto, l’analisi del rischio è solo accennata, andrà ultimata in fase di realizzazione; le condizioni esterne o ipotesi sono solo indicative perché andranno meglio analizzate anche loro nelle prime fasi di vita del progetto; il budget è fisso ma non è dettagliato se non per macro capitoli, andrà anch’esso esploso in una fase successiva. Se la mia ONG osasse presentare a qualunque donor una bozza di questo genere in risposta ad un bando certamente verrebbe esclusa dalla competizione fin dalla primissima scrematura.

Da diversi anni le spese di identificazione e formulazione per i progetti ONG non sono più eligibili ed i massimali per lo staff delle ONG si collocano tra la metà ed il terzo rispetto ai massimali di qualunque società o degli stessi progetti a gestione diretta dei donor medesimi. Le linee finanziarie consacrate alle ONG ora sono aperte a qualunque attore con un minimo di requisiti in una lotta al massacro e all’abbattimento dei prezzi e dei costi da fare invidia alle più grossolane strategie di marketing cinesi.

Si sa che le ONG devono soffrire, il loro personale è sottopagato, ma si esigono le stesse identiche prestazioni qualitative dei colleghi delle società, ormai 7 o 8 anni di esperienza all’estero sono il minimo che devi avere per essere competitivo e aggiudicarti un anno in Sud Sudan a 1500 euro al mese lordi; i lavori di identificazione e formulazione non vengono pagati; le ONG devono quasi sempre contribuire con denaro cash al budget dei progetti e i loro costi di funzionamento riconosciuti sono una percentuale sempre più bassa del budget totale. Ricordo il funzionario della delegazione europea del Cairo che si raccomandava, anni fa, rispetto ad un progetto che la UE avrebbe dovuto gestire direttamente in Egitto che i costi di funzionamento dello stesso fossero calcolati al 20% in quanto con meno di tale percentuale non sarebbe stato possibile avere una gestione di qualità. Ma allora perché per le ONG la stessa UE riconosce un massimo del 7%?  Forse si vuole avallare o veicolare il messaggio che le ONG lavorano coi piedi? Con standard qualitativi comprati al discount? Con personale raccattato nelle discariche? Forse c’è interesse a squalificare certe risorse umane provenienti da certi settori a vantaggio di altre? Dove sta scritto che le ONG vanno trattate come il fratello povero e un po’ scemo nello scenario desolante dello sviluppo? Le sfide sono le stesse, come pure le difficoltà da superare; restare anni della propria vita in un Paese lontano e disagiato non è piacevole per nessuno, le lauree e gi anni di esperienza sono uguali per chi parte con una società o con una ONG. Io stesso valgo la metà o un terzo se devo fare un lavoro per una ONG rispetto se lo devo fare per una società o per un Donor.  Ma perché? non sono forse io la stessa persona, con le stesse competenze in entrambi i casi? Chi stiamo prendendo in giro? Perché la fuffa che sto producendo in questa missione deve essere pagata a peso d’oro mentre se la produco con la mia ONG non viene riconosciuta quasi per nulla? Domande che aprono riflessioni di dimensioni planetarie e che devono far riflettere chi si accinge a percorrere con la propria vita la strada del non profit….

Forse non siamo responsabili di quello che ci accade, ma se non facciamo nulla per modificarlo lo diventiamo. Lo diceva Martin Luter King. Cosa possiamo fare noi contro il mercato della fuffa? Prima di tutto respingere l’equazione ONG=lavoro fatto coi piedi, e quindi volare sempre ai massimi livelli rifiutandoci di avallare la mediocrità e le cose improvvisate o fatte a metà; in secondo luogo evitando di percorrere la strada della concorrenza cinese, pagando dunque il massimo consentito ai nostri professionisti senza donazioni farlocche alla ONG di parte di un già magro salario; poi scegliendo i migliori professionisti evitando di mandare le mezze calzette a rappresentarci; (se li motiviamo possiamo contare con le eccellenze anche nel nostro mondo!) infine facendo una giusta lobby con i donor per parificare i massimali sul mercato dello sviluppo portandoli a livelli dignitosi.

Domani mi aspetta l’ennesima visita di un processo che avrei potuto gestire da solo in un terzo del tempo… saremo in 5 a generare la nostra dose di fuffa quotidiana…. tanto paga il contribuente o forse piuttosto pagano i nostri beneficiari africani, quelli per i quali stiamo lavorando alacremente…

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